SONO GELOSO DI QUESTA CITTÀ
L'Urbino di Giancarlo De Carlo
EVASIONE
Giancarlo de Carlo ed Urbino, un rapporto di gelosia e generosità, inclusivo ed esclusivo allo stesso tempo. Da marchigiana, ho sempre sentito parlare di questa città fin dall’infanzia, come luogo pieno di fascino, storia, cultura, ma prima di tutto, forse, come università. Mia madre ha studiato ad Urbino. La generazione dei miei genitori ha studiato ad Urbino. Oggi alcuni miei amici studiano ad Urbino. Chi ne parla al passato, lo fa con gli occhi lucidi, nostalgia ed affetto. Ma quando nomino Giancarlo De Carlo, nessuno sa collegare questo nome con la città a cui sono tanto devoti, ad un luogo o ad un edificio specifico. Poi penso che forse non sia necessario. Forse era proprio questa l’intenzione dell’architetto: entrare con discrezione e prudenza in una città, lasciare un segno, ed uscire silenziosamente, osservando il risultato del suo lavoro da fuori, attraverso il comportamento delle persone che, inconsapevolmente, si emozionano pensando proprio agli spazi da lui progettati. De Carlo parla così dei suoi progetti a posteriori:
"Ogni volta arrivavo con trepidazione: gli occhi attenti ad ogni dettaglio. Spiavo l’edificio per vedere se era invecchiato, per controllare la sua resistenza alle persone e al tempo. Era un modo per spiare me stesso."
È rimasta viva e continuerà a vivere ad Urbino una sapienza architettonica e sociale, che sono proprio i suoi edifici, progetti, idee e tracce a tenere viva, assieme alle persone che hanno vissuto, vivono e vivranno quei luoghi. Studenti di ieri, di oggi e di domani che consumano strade, stanze e corridoi. Turisti curiosi di vedere la città ideale. Il dentro e il fuori si fondono perché Urbino è città, ma anche università, collegi, studenti e professori. Il lavoro di De Carlo ci insegna la lettura profonda di un luogo, una città storica e piena di cultura, che il progetto (ri)consegna generosamente alle persone, grazie alla costruzione di un nuovo edificio, quando un vecchio monastero diventa università, o quando una persona lo consuma. A De Carlo non interessa quale aspetto abbiano gli spazi senza le persone, ma nemmeno quale aspetto abbiano gli spazi con le persone. Quello che conta è l’aspetto che le persone hanno quando sono negli spazi.
"L’architettura lascia tracce, tracce impercettibili. A Urbino, progettando un pezzo di città, ho guardato alla natura, ai paesaggi, agli abitanti, ai comportamenti degli studenti, introiettando tutto dentro le mie architetture. Ritornare qui, in questi luoghi, mi dà la consapevolezza di aver progettato per la gente: per gli abitanti, gli studenti. Il movimento degli esseri umani diventa un ingrediente che viene utilizzato come i materiali, come il calcestruzzo, come il vetro. È anche il materiale, tra l’altro, che dà vita poi all’esistenza dello spazio."
È con questa ottica che occorre percorrere le tracce, i frammenti, gli interventi e le testimonianze che De Carlo ci ha lasciato nella città. Dieci foto non sono sicuramente esaustive, così come non lo sono queste 5000 battute. Questa selezione vuole però trasmettere le suggestioni e le impressioni che sono il risultato delle intuizioni che la città di Urbino ha suggerito allo stesso De Carlo. Architetture brutaliste che si stagliano nel paesaggio e che assumono senso solo quando osservate in relazione ad esso, che valorizzano le colline urbinati e che, se astratti da esse, perdono significato. Interni trattati come esterni, per consegnare la morfologia di Urbino agli studenti, in ogni spazio, anche interno, dei singoli edifici. Luoghi della collettività che appaiono vuoti in queste foto, grazie (o a causa) del periodo storico che stiamo vivendo, ma che forse accrescono ancora di più la comprensione del ruolo sociale dei progetti del maestro. Gran parte delle ambientazioni di queste fotografie sono proprio gli edifici universitari, facoltà e collegi, perché a Urbino non si può parlare di città senza parlare di università e viceversa.