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       SALOTTI URBANI

                       (Trafaria, Portogallo)

"Che cosa fa un ospite entrando? Si toglie il cappello, se lo usa, china leggermente il capo, se ce l’ha scoperto, insomma, fa le debite dimostrazioni di rispetto. Questo viaggiatore si trasforma in un ospite e entra, dopo essersi convenientemente lavato l’animo, come sullo zerbino ci si puliscono i piedi. Questa città è una casa, e le case servono agli uomini per viverci."

                                                                           

                                                                                                                               

José Saramago

EVASIONE
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Il Salotto è piccolo e familiare, la Città è grande e dispersiva: questo è il cliché. I due termini sembrano inconciliabili se si pensa alle loro dimensioni, soprattutto se immaginiamo le grandi metropoli contemporanee e subito dopo il soggiorno della nonna, saturo di oggetti a cui siamo immotivatamente legati. Cerchiamo ora di immaginare un salotto leggermente più grande di quello che abbiamo nelle nostre case e una città di gran lunga più piccola delle metropoli rumorose e alienanti in cui viviamo, lavoriamo o studiamo.

Facendo questo esercizio mentale sbarchiamo a Trafaria, villaggio di pescatori che osserva Lisbona in lontananza, sulla riva opposta del fiume Tejo. A Trafaria non si arriva con una macchina di lusso o in metropolitana, ma con un traghetto sgangherato; a Trafaria non si va per visitare un museo, vedere un monumento o fotografare una chiesa; il paradosso è che i lisbonesi non conoscono nemmeno l’esistenza di questo posto così vicino e contemporaneamente lontano.                                                                                   

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Questo è il bello di capitare qui per caso, per una serie di (s)fortunati eventi. Approdare a Trafaria è sbarcare in un salotto di una casa non propria; è invadere una proprietà privata; è osservare la vita delle persone senza farne parte; è sentirsi estraneo, ma al contempo accolto generosamente in un luogo sconosciuto, ma subito così familiare. C’è qualcosa che colpisce subito: l’eloquenza della molteplice quantità di oggetti che si incontrano per strada: ci si imbatte in una serie di scenari non progettati, ma ‘installati’ dagli abitanti del luogo, con una precisione involontaria e al tempo stesso sconcertante; un’architettura senza architetti, che racconta le vite e i legami degli uomini che lì vivono ormai da tempo. Le fotografie narrano situazioni domestiche. La quotidianità, la semplicità, i movimenti delle persone, lasciano delle tracce che configurano uno spazio vissuto e costantemente aperto alla trasformazione.

Le case del villaggio, mono piano, autocostruite e totalmente abusive, sono per gli abitanti un qualcosa da proteggere e nascondere, nido della vita privata. L'esterno diventa così spazio condiviso, un salotto urbano in cui le persone vivono come fossero in un interno domestico senza pareti. Tutto è allo stesso tempo pubblico e intimamente privato. Così come sosteneva Luis Kahn: ‘la strada è una stanza di comune accordo’. La strada, la stanza e il comune accordo diventano così le chiavi di lettura di questa evasione.

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 Leon Battista Alberti

"La casa è come una piccola città e la città come una grande casa."                                                                                                

Foto e viaggio B.B.

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