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DESIGN ANONIMO IN ITALIA

Oggetti comuni e progetto incognito

Ragionamenti sconnessi durante la lettura

Autore:  Alberto Bassi

Editore:  Mondadori Electa 

Anno prima pubblicazione:  2007

Pagine:  269

Come può un prodotto essere anonimo? E’ impossibile, qualcuno deve sicuramente averlo progettato, forse questa persona non sapeva di essere un designer perché la figura del designer ancora non esisteva. Come per tante architetture prerinascimentali di cui non si conosce l’architetto perché il ruolo dell’architetto non era definito. Capiamo che il problema sta nella ricerca e nella mancanza di informazioni. Bassi definisce questo tipo di oggetti “anonimi di tradizione” oggetti già in uso prima della rivoluzione industriale.

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Nella maggior parte dei casi è molto difficile risalire alla prima persona che li ha pensati e poi realizzati. Sono prodotti che attraversano varie generazioni, perfezionandosi nel tempo come il fiasco di vino del VIII o il cappello di feltro Borsalino della seconda metà del XIX. Quello che però possiamo conoscere è l’azienda che per la prima volta ne ha “congelato” la forma per produrne grandi numeri.

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Con la seconda rivoluzione industriale si inizia a parlare di design ma non di designer. I primi prodotti per la nuova società borghese vengono progettati dalle aziende stesse e dai loro uffici tecnici, ignorando la mano di un designer specifico. Possiamo quindi considerarli ancora anonimi, associati ad un’azienda, ma non d’autore, come la bicicletta militare Bianchi del 1911 o le scarpe di tela 2750 Superga del 1925.

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Esistono anche oggetti anonimi, ma progettati da grandi designer che Bassi chiama “anonimi d’autore” con un gioco di parole basato sulle contraddizioni. Per una persona che non conosce i progettisti ogni oggetto è anonimo, chi invece è interessato al settore non può considerare anonimi questi prodotti, in alcuni casi premiati anche con il compasso d’oro, ma possiamo definirli “anonimi di stile”. Il progettista ha risolto un problema pratico nel modo più semplice e funzionale possibile. Tra gli esempi più evidenti troviamo la bottiglietta Campari Soda di Depero per Campari del 1932 e l’interruttore rompitratta di Achille e Pier Giacomo Castiglioni del 1968 per Vlm. E’ curioso che i due progettisti di alcuni tra gli oggetti più famosi della storia, come la lampada Arco, siano anche gli autori di un oggetto così anonimo.

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“La mania attuale per la firma è soltanto una superfetazione pubblicitaria che serve al mercato globale, e sposta i riflettori dall’unicità esclusiva dell’oggetto, riprodotto sempre uguale a milioni, a quella del suo (presunto) creatore.” Come scrive Mari il fatto che gli oggetti siano firmati ha importanza solo per il mercato, mentre durante il processo di progettazione i prodotti migliori tendono ad una sintesi progressiva che screma i segni più personali e soggettivi del progettista. Questo si può definire come processo di anonimizzazione del prodotto. Come paradosso potremmo considerare anche la famosa Arco dei Castiglioni un prodotto anonimo, poiché è la risposta sintetica ad una domanda pratica, senza intravederci ““manierismo del design” cioè l’ossessione per il segno individuale del progettista.” 

Viene naturale paragonare la storia del design a quella dell’architettura.

Se il design è nato a fine '800 e dopo poco è nata la figura del designer, si può dire che l’architettura nasca quando c’è la consapevolezza del ruolo dell’architetto?

Allora tranne qualche raro caso come Fidia per il Partenone l’architettura nasce da Brunelleschi e Alberti e tutta la produzione precedente non è da considerarsi tale? Non bisogna legare per forza il design all’industria, ma come l’architettura, il design va associato alla tecnologia più evoluta di quel periodo. Se una chiesa gotica con archi a sesto acuto, pennacchi e archi rampanti è considerata un grande esempio di architettura, un aratro a versoio dello stesso periodo dovrebbe essere considerato un buon prodotto di design.

Questo ragionamento parte dall'idea di design come disciplina che si occupa della progettazione di oggetti nati per risolvere dei problemi di carattere pratico e non come la indentiamo oggi, ossia come disciplina che cerca di dare un’estetica gradevole ai prodotti industriali.

La domanda che bisogna porsi è: ci fanno stare bene gli oggetti di cui ci circondiamo? E una parte del design prova a dare una risposta. Allora assumono senso una serie di oggetti.

Tutti i prodotti più riusciti sono nati per risolvere un problema pratico, per esempio: “come illumino un tavolo o un piano di lavoro se non ho un punto luce sul soffitto sopra di esso, quindi con una lampada da terra?” Come risposta a questa domanda è nata la lampada ad arco, uno dei prodotti d’autore più famosi del mondo. Oppure: “Come faccio a tritare un alimento senza tagliarmi e velocemente? “ Da una domanda tipo questa potrebbe essere nata la mezzaluna, premiata con il “compasso d’oro a ignoti” da Munari. Oppure: “come posso arare il mio terreno per renderlo più fertile? “ Con l’aratro a versoio. Quindi un prodotto è di design se risponde in modo corretto a una domanda, più o meno importante, il resto è merce.

Testo A.A.  

Le immagini sono scannerizzate direttamente dal libro "Disegn anonimo in Italia - Oggetti comuni e progetto incognito" di Alberto bassi

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